Il Porto Vecchio di Trieste costituisce un inestimabile patrimonio culturale, tanto da essere considerato uno dei più importanti esempi di archeologia portuale al mondo, sia per l’elevato valore architettonico dei suoi edifici storici sia per l’alta valenza tecnologica all’epoca della sua costruzione. Realizzato per volontà dell’impero austroungarico tra il 1868 e il 1887 dopo un’ampia fase progettuale, il distretto storico portuale copre un’area di circa 700mila metri quadrati, estendendosi dallo sbocco del Canale di Ponte Rosso all’abitato periferico di Barcola. Comprende cinque moli (moli 0, I, II, III, IV), 3100 metri di banchine di carico e scarico merci, ventitré grandi edifici tra hangar, magazzini ed altre strutture, è protetto da una diga foranea ed è direttamente collegato alla rete ferroviaria. La sua costruzione determinò variazioni della linea di costa, richiese lavori di bonifica di intere aree e opere straordinarie di consolidamento dei manufatti e delle banchine.
Oggi la vecchia area del porto e i magazzini ottocenteschi, ormai inglobati nella città, non sono più idonei a svolgere funzioni connesse ai traffici commerciali e quindi si è attivato il processo di riqualificazione per una riutilizzazione funzionale. Diciotto anni sono passati da quando, il 23 agosto 2001, il Ministero per i Beni e le attività culturali pose i vincoli di tutela su tutti i principali edifici della vecchia zona franca di Trieste, considerandola un grande patrimonio da salvaguardare. Con il recupero dell’Hangar 1 sul molo IV, del Magazzino 26 (figura seguente), dei varchi, della Centrale idrodinamica e della Sottostazione elettrica, già da alcuni anni si è attivato il processo di riqualificazione dell’intero distretto storico portuale.
Porto Vecchio di Trieste: il Magazzino 26 dopo i restauri. (Foto: Neva Gasparo)
La consegna alla città, il 18 giugno 2012, della restaurata Centrale idrodinamica e il 22 marzo 2013 della Sottostazione elettrica di riconversione, edifici restaurati e riportati allo splendore originario in soli due anni, ha dato il via al Polo Museale del porto, diventato ormai insieme al Magazzino 26 il fulcro culturale della città.
Il Polo museale del porto di Trieste
Il progetto per il Polo Museale del porto di Trieste, nato nel 2004, con la proposta programmatica presentata da Italia Nostra alla Soprintendenza regionale del Friuli Venezia Giulia e all’Autorità portuale, richiedeva notevoli finanziamenti e questo poneva un reale freno alla sua realizzazione. Sembrava solo un sogno senza alcuna possibilità di riuscita.
In occasione di concorsi e di proposte di riuso del Porto Vecchio si parlava soltanto di un recupero soft e trascurabile della Centrale idrodinamica e della Sottostazione elettrica di riconversione, ben lontano da quelli che erano gli obiettivi di Italia Nostra, perché nessun privato avrebbe investito ingenti fondi nei restauri, e nel settore pubblico sembrava impossibile reperirli. Il percorso fu più volte interrotto, poi ripreso e alla fine condotto a compimento con la disponibilità dei finanziamenti.
I primi risultati per la costituzione del Polo Museale si ebbero il 25 ottobre 2007, quando, su promozione di Italia Nostra, la Regione Friuli Venezia Giulia, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali del Friuli Venezia Giulia e l’Autorità Portuale di Trieste stipularono un protocollo d’intesa per promuovere la conservazione e la valorizzazione del Porto Vecchio di Trieste, quale sito di archeologia industriale di rilevanza internazionale e in particolare per realizzare il restauro e il recupero della Centrale idrodinamica al fine della costituzione del Polo Museale del porto di Trieste.
A seguito del protocollo d’intesa, la Regione Friuli Venezia Giulia, dopo l’approvazione del progetto preliminare per la Centrale idrodinamica, emise un provvedimento nel dicembre 2007 (fondi europei POR-FESR 2007/2013) con cui veniva concesso un consistente contributo “per il progetto di recupero e restauro della Centrale idrodinamica, al fine della sua utilizzazione quale Polo Museale e sede di attività scientifiche di ricerca e formazione di interesse regionale”. Anche il Ministero destinò dei fondi per il restauro delle due torri degli accumulatori.
Successivamente, nell’aprile 2008, sempre su richiesta di Italia Nostra, la Regione stabilì l’assegnazione di un altro consistente contributo per la ristrutturazione, con finalità museale, della Sottostazione elettrica di riconversione.
Il Polo Museale del Porto Vecchio di Trieste. (Foto: Neva Gasparo)
Edifici speciali, impianti idraulici ed elettromeccanici del Porto Vecchio di Trieste
Il complesso di strutture e meccanismi in ferro, ancora visibili nel Porto Vecchio, in parte in disuso, appartiene all’arredamento meccanico originario delle calate approntato per le operazioni portuali (figura seguente). Nella costruzione delle opere per il porto, particolare attenzione andava alla razionalizzazione e alla meccanizzazione del lavoro, che comportava continui ammodernamenti e adeguamenti degli impianti. Coordinare i tempi della manodopera con quelli delle macchine (gru da riva e galleggianti, montacarichi ecc.) era necessario per stabilire il ritmo complessivo delle operazioni portuali. Altri impianti fondamentali erano quelli necessari per la produzione di acqua in pressione e per la trasformazione e la conversione dell’energia elettrica. Queste installazioni nel Porto Vecchio consistevano in un impianto idrodinamico (Centrale idrodinamica), per il funzionamento delle gru e dei montacarichi idraulici, e di un impianto elettrico (Sottostazione elettrica di riconversione) per la trasformazione del voltaggio dell’energia elettrica fornita dalla rete esterna al porto.
Porto Vecchio di Trieste: gru idrauliche ancora esistenti sulla banchina del Magazzino 6. (Foto: Giuseppe Palladini)
Il restauro e la rigenerazione di un edificio di archeologia industriale-portuale impone prima di tutto la conoscenza della sua storia e delle vicende costruttive. Altre scelte, superficiali o errate, avrebbero probabilmente compromesso l’identità di questi edifici, che in passato, un po’ dimenticati e poco conosciuti, restavano indifferenti a molti.
Gli interventi di restauro conservativo della Centrale idrodinamica e della Sottostazione elettrica, che dopo un lungo periodo di completa dismissione presentavano un elevato degrado, hanno richiesto particolare attenzione per evidenziare le varie metodologie costruttive dei complessi e per dare piena valorizzazione alle funzioni originarie. Prima degli interventi, nella fase di redazione progettuale, sono stati esaminati gli elaborati storici e compiute indagini stratigrafiche che hanno permesso la restituzione delle decorazioni sulle murature interne, sia nella Centrale sia nei vari locali della Sottostazione.
Nelle realizzazioni, oltre ai corpi di fabbrica, sono state mantenute la concezione spaziale e i caratteri distributivi degli edifici, parti della pavimentazione originaria, le mattonelle murarie, la struttura a capriata con tenditori e la controsoffittatura originaria nelle due sale della Centrale.
Il restauro della Centrale Idrodinamica
La Centrale idrodinamica (figura seguente), tra le prime ad essere realizzata nel distretto storico portuale, era adibita ad ospitare l’impianto idrodinamico, le unità di controllo e le attrezzature manutentive necessarie alla produzione dell’energia idraulica per l’azionamento delle gru e dei mezzi di sollevamento distribuiti nell’ambito del Porto Vecchio, per garantirne il funzionamento, anche 24 ore su 24. L’innovazione tecnologica consisteva anche nel fatto di adattare le nuove costruzioni alle sollecitazioni degli impianti e creare spazi razionali, interni ed esterni, per le nuove e grandi macchine di produzione dell’energia.
La forma architettonica dell’edificio si differenzia sia dall’ordine costruttivo dei magazzini sia dalla loro impostazione volumetrica, quasi prevaricando, con le sue linee essenziali, l’intero complesso portuale.
Porto Vecchio di Trieste: la Centrale idrodinamica prima del restauro. (Foto: Neva Gasparo)
L’edificio, costruito tra il 1890 e il 1891, presenta una pianta a forma rettangolare di circa 80 metri di lunghezza e 25 di larghezza, per complessivi 2.000 metri quadri.
Semplice, essenziale e funzionale, simile all’edificio della “Maschinenbau Actien Gesellschaft Vormals Breitfeld, Danek & Co – Prag Karolinental” di Praga, l’impianto costruttivo dell’epoca doveva permettere l’organizzazione dello spazio interno, la sistemazione delle macchine generatrici, la completa utilizzazione della forza prodotta senza compromettere la stabilità e la conservazione dell’edificio ma anche la razionalità del lavoro.
Il materiale di costruzione dominante è la pietra per le murature perimetrali e il laterizio pieno per i tamponamenti interni.
L’energia prodotta doveva essere facilmente distribuita nei vari punti di utilizzazione del porto, ed era necessario anche un suo facile frazionamento per rendere possibile l’azionamento a gruppi del macchinario, in modo da ridurre i costi. Si decise quindi di scegliere una zona del porto in posizione favorevole per la produzione di energia e la sua distribuzione, e si procedette alla costruzione di tre corpi di fabbrica, uniti tra loro, dove trovassero sede le macchine generatrici, le caldaie e gli impianti di sottostazione elettrica di riconversione. La costruzione si adattò anche quando venne abbandonato l’azionamento del sistema con macchine a vapore, nel 1936-39, per passare all’elettrificazione delle macchine e delle pompe. I macchinari, risalenti al 1891, restarono in servizio fino al 15 giugno 1988 e dal momento della dismissione risultavano complessivamente in un buono stato di conservazione, seppur inutilizzabili.
L’intero fabbricato, prima del restauro, versava in pessime condizioni manutentive, con copiose infiltrazioni d’acqua dal tetto, le quali avevano intaccato in alcuni punti le strutture lignee di sostegno. Pertanto la progettazione dei risanamenti è stata subordinata ad opportune verifiche strutturali. Il degrado dell’edificio si estendeva inoltre agli intonaci delle facciate ed ai serramenti. Anche i locali interni, a lungo inutilizzati, presentavano un forte degrado. L’impiantistica, assolutamente obsoleta quando non addirittura inesistente, completamente non in linea con le normative e inadeguata a una riconversione della destinazione d’uso dell’edificio, ha richiesto una nuova, totale ridefinizione.
La prima fase di restauro, gestita autonomamente dal Ministero con fondi propri, ha interessato le due torri degli accumulatori antistanti il corpo centrale dell’edificio della Centrale idrodinamica. La terza torre (piezometrica), posta nell’area dei varchi d’ingresso del Porto Vecchio, pur facente parte del complesso idrodinamico, non era compresa nel progetto ed è ancora oggi in attesa di restauro.
Nella seconda fase si è provveduto al restauro dei tre corpi di fabbrica della centrale.
Il primo (quello più a Nord) che risultava vuoto al momento del restauro, corrispondeva agli impianti della ex sottostazione elettrica di riconversione, è stato adibito a sala polifunzionale per didattica, incontri ed eventi. Nel corpo centrale, di complessivi 900 metri quadri, che ospitava originariamente la batteria delle caldaie, attualmente ridotte a soli tre esemplari, sono stati realizzati spazi espositivi e museali. Il terzo corpo (quello più a Sud) è simmetrico a quello situato a Nord (ex sottostazione) e in esso sono collocati i macchinari. A questo corpo è addossata una struttura dotata di due torri che contengono gli accumulatori idraulici e dove si trovano l’atrio di accesso e alcuni locali un tempo adibiti ad uffici.
La sala macchine (figura seguente), per il suo straordinario valore storico e artistico, è stata destinata a rimanere museo di sé stessa, mentre negli altri locali sono stati realizzati servizi accessori e uffici. Attualmente, delle cinque macchine restaurate soltanto la n. 4 è rimasta allo stato originario (funzionamento a vapore). Inoltre alle macchine n. 1 e n. 5 è stato aggiunto un piccolo motore che ne simula il funzionamento.
L’officina conserva l’aspetto originario compreso le attrezzature di aggiustaggio.
Porto Vecchio di Trieste: la sala macchine della Centrale idrodinamica dopo il restauro. (Foto: Neva Gasparo)
L’edificio, completato da una ciminiera posta in posizione centrale, sul lato Nord-Est, e da alcuni locali accessori di modeste dimensioni, si sviluppa su un unico livello, tranne l’ala Sud-Est (lato ingresso principale), provvista di due piani. Esiste inoltre un piano semi-interrato alto circa 1,80 metri, accessibile da una scaletta interna, che serviva per la manutenzione delle tubazioni. L’altezza massima fuori terra dell’edificio è di 14 metri, con la zona centrale di 11 metri, mentre le due torri raggiungono i 20 metri.
All’unico collegamento verticale realizzato in origine, una scala a chiocciola in ferro, è stata aggiunta una scala nel locale antistante ad uno dei due accumulatori.
La copertura dell’edificio a falde, diversamente orientate, è caratterizzata all’interno da travature in legno e da un sistema di tenditori.
L’edificio della Sottostazione elettrica
Analogamente alla Centrale idrodinamica, la Sottostazione elettrica (figura seguente), costruita nel 1913 per esigenze di potenziamento della produzione energetica, è un edificio strettamente connesso al suo carattere funzionale e operativo.
In quel periodo storico le architetture idrauliche ed elettriche segnarono in Italia e in Europa la nascita di un’architettura funzionale all’industria, in quanto erano le attrezzature interne a dettare la forma architettonica. La planimetria a L, non percepibile dall’esterno (lato mare), è conseguente agli spazi funzionali interni e agli impianti installati.
Da segnalare che tutte le fasi della realizzazione vennero dettagliatamente illustrate nel giornale della costruzione (Baubuch).
Porto Vecchio di Trieste: la Sottostazione elettrica di riconversione. (Foto: Neva Gasparo)
L’attenzione nelle opere di restauro, posta nel trattamento delle superfici e nell’aspetto cromatico, curato con materiali appropriati, ha permesso di riconferire l’identità originaria all’edificio, accentuandone le linee geometriche e la partitura degli spazi esterni ed interni.
Le scelte appropriate dei materiali da costruzione, dei colori delle facciate e degli elementi decorativi, esterni ed interni, e del grado di finitura degli interventi in genere, hanno sicuramente contribuito ad ottenere un risultato eccellente.
La facciata si caratterizza anche per i particolari serramenti, studiati nella forma e nel colore in diversi sopralluoghi con la Soprintendenza, che sono stati rifatti nel rispetto delle dimensioni e delle parti originarie.
All’interno l’edificio nei diversi locali presenta pavimentazioni, rivestimenti murari e decorazioni particolarmente curate nella sala quadri (figura seguente). Il rifacimento degli elementi di copertura, sempre nel rispetto delle strutture esistenti, ha comportato anche nuovi interventi e nuove partizioni murarie, per rendere l’edificio stesso più funzionale destinazione d’uso (archivio storico, studio e riunioni). Sul piano architettonico la Sottostazione presenta i caratteri della scuola di Otto Wagner e il segno dell’architetto Giorgio Zaninovich, che aveva operato nel porto di Trieste dal 1910 al 1914 segno che ritroviamo in altri edifici del Porto Vecchio come i varchi d’ingresso, l’ex magazzino edile e l’ex locanda piccola.
Porto Vecchio di Trieste: la sala quadri della Sottostazione elettrica di riconversione. (Foto: Neva Gasparo)
Referimenti
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Nikolaus Negrelli-Moldelbe, Die Lüge von Suez, Darmstadt/Berlin, Vorwerk-Verlag, 1940.
Head Image: Veduta storica del Porto di Trieste.