Pensare di poter partire da un punto fermo o da un margine stabile per una considerazione sulla città di Napoli si rivela una pura illusione.
La mobilità e la sfuggevolezza dei suoi connotati, così come delle sue dimensioni reali in termini di aree urbane i cui confini metropolitani si smagliano e si riflettono in periferie che non sono più tali, rende superfluo ogni tentativo di stigmatizzarla attraverso una visione che, in senso positivo o in senso negativo, si risolverebbe subito in uno stereotipo [1].
La duplicità, o meglio, la coesistenza delle dinamiche che sottendono al binomio conservazione/trasformazione si addice alla realtà multipla e sempre inedita di una città che, nel bene e nel male, esprime autenticamente se stessa.
Al di là di qualsiasi convenzionale visione di Napoli, la città appare come un macrocosmo che racchiude e si riflette in tanti microcosmi che esprimono e ripetono dinamiche di conservazione, di reiterazione di meccanismi sociali, ritualità, di modi e di approcci alla realtà mutevole. Sul piano urbano ogni strada, ogni edificio, ogni cortile, ogni uscio è lo sfondo di un’antropologia che porta i segni somatici e culturali di secoli di vita trascorsi e di un tempo presente.
La zona portuale napoletana, come tutte le aree portuali delle città aperte al mare, è un sistema complesso e la sua lettura può prevedere diversi gradi di approfondimento, come pure avvalersi di diverse angolazioni.
Proscenio naturale di scambi con l’’altro’, luogo di condensazione della storia fatta di apertura verso il mondo e di difesa dal mondo, il limes partenopeo, che media il tessuto costruito con il mare, presenta nella suo disegno della costa una estensione complessa e diversificata di approdi, mette in figura l’identità della città, introduce all’animato skyline e al ventre urbano più interno e consolidato dalla storia.
Dell’area che dal Ponte della Maddalena arriva fino alla darsena, la parte relativa alla maggiore concentrazione degli scali e destinata alle principali funzioni portuali risulta attualmente, rispetto a tutte le altre aree urbane della città, come una delle zone più esposte alla trasformazione (immagine seguente).
Veduta aerea della Piazza Municipio e dell’area portuale in prossimità del Molo Beverello. Si nota il cantiere per la realizzazione della nuova stazione della Metropolitana. (Fonte: Casabella, 869, gennaio 2017)
Guardando la notissima veduta di Joli, emerge il prolungamento della città sul mare che, a sua volta, sembra partecipare alla vita sociale che si svolge sul molo collegato al tessuto urbano più addentrato e che arriva visivamente fino alle pendici del rilievo collinare di Sant’Elmo (immagine seguente).
Antonio Joli, “Napoli dal molo”, (circa 1770).
Il rapporto tra Napoli e l’area portuale è un rapporto mutato nel tempo: con l’abbattimento delle mura e con la creazione delle infrastrutture portuali che andavano oltre i confini della città viene a mancare quella fusione esistente, per alcuni tratti, tra la trama urbana e il fronte del mare; mentre con gli interventi dell’epoca borbonica, oltre all’affermazione della forza e del potere militare, si danno nuove funzioni e attrezzature: la fascia urbana prospiciente il mare, il medium tra il mare e la vita sociale della città si rianima [2], ritorna a far parte integrante del centro storico come parte pulsante e produttiva.
La successione dei progetti per la marina che nel corso dell’Ottocento si sono avvicendati mostra grandi prospettive di potenziamento che, in concreto, si risolveranno[3] nelle colmate che, a partire dal 1883, hanno ampliato l’antico bacino angioino, per arrivare fino agli anni Trenta del XX secolo con la realizzazione dei due bacini di carenaggio e del bacino grande, in un periodo coincidente, poi, con il completamento del restauro di Castel Nuovo ed il suo isolamento ad opera di Filangieri di Candida.
Un altro momento importante per gli interventi per il porto è la Stazione Marittima di Cesare Bazzani, eseguito durante il regime negli anni Trenta e a cui sono seguiti, nel dopoguerra, la costruzione della Nuova Darsena, l’ampliamento del pontile dell’Immacolatella e il prolungamento del molo Beverello. Durante l’amministrazione Lauro, negli anni Cinquanta, la sistemazione della via Marina ha cristallizzato la cesura tra la città ed il mare, interrompendo l’asse di comunicazione della piazza Municipio con la linea di costa. Al di là dunque di interventi e realizzazioni che, generalmente, hanno mirato a modernizzare l’area portuale con attrezzature ed ampliamenti, è rimasto irrisolto il nodo del dialogo con la città, potenziandosi sempre di più la marginalizzazione dell’area, in virtù anche delle diverse competenze di gestione che, per quanto riguarda il porto, sono di spettanza all’Autorità portuale; una divisione amministrativa e concettuale che si riflette chiaramente anche nella perimetrazione del piano UNESCO.
Se un primo passo per l’eliminazione delle barriere fisiche tra la città ed il mare è stato fatto con l’abbattimento lungo la darsena Acton, oggi permangono le separazioni tra il tessuto urbano e l’area di pertinenza portuale (immagini seguenti).
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Castel Nuovo, dalla parte della torre dell’Oro, e il Porto. (© F. Castiglione)
E nemmeno l’aumento del flusso turistico, in particolare quello crocieristico – che indubbiamente costituisce un’occasione in più per connettere i valori diffusi, manifesti e celati, per ripensare la messa in rete del patrimonio architettonico e l’accumulazione culturale presente in tale parte del centro storico – ha portato a considerare il porto non tanto e solo come infrastruttura, quanto come parte viva della città. Lo stesso concorso bandito nel 2004 e vinto dal gruppo coordinato da M. Euvé [4] che interessa l’area dal molo san Vincenzo fino al molo Immacolatella Vecchia – è concepito come filtro che disciplina e razionalizza la relazione tra il porto e la città [5].
Da queste brevi considerazioni e da tali spediti riferimenti alla storia più antica e quella più recente, emerge non solo l’estrema difficoltà dell’integrazione tra una parte di città, quale è la fascia costiera, destinata ad area portuale, e la città storica – proposta già negli anni Ottanta da C. Aymonino nel Progetto da S. Martino al mare – ma anche la mancanza di una visione unitaria che non guardi alla città solo in senso bidimensionale e come serbatoio di funzioni più o meno bene localizzate, ma con un approccio interattivo basato su relazioni complesse. Si tralascia insomma l’approccio integrato, inclusivo di un tessuto urbano che dispiega valori multidimensionali, anzi, inter-dimensionali. Dove la considerazione della componente socio-antropologica ha ancora, soprattutto in tal caso, un ruolo primario perché qualsiasi iniziativa riguardante lo spazio comune abitato abbia un’efficacia nel medio e lungo periodo.
Si tralascia, in altre parole, di partire dal genius loci. Non si considera il terreno su cui si vogliono impiantare e innestare nuove entità. Si sottovaluta il fatto che, con ogni nuovo intervento, ci si insedia in una realtà stratificata di significati e di valori che vanno compresi, decodificati, riattivati e che non riguardano solo i ‘monumenti’ ma soprattutto quegli spazi interstiziali in cui si è accumulato un vissuto che talvolta può non essere compatibile con il nuovo assetto progettato. Non solo Castel Nuovo, dunque, ma anche il tessuto storico fatto di funzioni, luoghi ed episodi da recuperare entro un piano che valorizzi e connetta valori; dal quartiere di rua Catalana, per esempio, fino a S. Maria Incoronata ed altro ancora che, con la messa in luce del palinsesto urbano emerso con i lavori per la metropolitana, possono portare a scenari diversi e conferire altri significati a questa parte storicamente e funzionalmente nevralgica della città.
Napoli – come del resto le città caratterizzate da una storia millenaria – è una condensazione di antiche e nuove ritualità; di Weltanshauung che deriva proprio dal rapporto con quel mare che la divide dall’orizzonte posto oltre le isole che chiudono la baia; di testimonianze che affiorano materialmente in superficie, che si ritrovano nei toponimi delle strade di fronte al porto, nelle edicole votive e nelle gestualità che rimandano al bacino del profondo Mediterraneo al di là delle nostre coste.
Gestire il problema della riqualificazione di un waterfront significa non ragionare per ‘fasce’, cioè lungo la ‘linea’ di costa, ma anche nel senso della profondità, creando occasioni di osmosi con il mare e con il costruito della città consolidata.
In tal senso, nonostante l’abusato e talvolta improprio uso, la nozione di ‘paesaggio urbano storico’ è quella che maggiormente include le peculiarità pluridimensionali del nostro contesto di vita. Ed è quella che include anche la trasformazione e la diversità. Considerando che la città, intesa come patrimonio sociale culturale ed economico, è la sede da un palinsesto storico di valori e di esperienze [6], si sostiene, nella Raccomandazione per il paesaggio storico urbano che «in order to support the protection of natural and cultural heritage, emphasis needs to be put on the integration of historic urban area conservation, management and planning strategies into local development processes and urban planning, such as, contemporary architecture and infrastructure development, for which the application of a landscape approach would help maintain urban identity». La mancanza di una visione inclusiva peraltro riconducibile al concetto di conservazione integrata come azione di ‘trasformazione’ comporta pure ignorare l’importanza della dimensione economica e socio-antropologica presente invece nelle metodologie da tempo condivise e che prevedono un nuovo tipo di «townplanning» finalizzato «to recover the enclosed spaces, the human dimensions, the interpenetration of functions and the social and cultural diversity that characterized the urban fabric of old towns». Ciò è basato sulla concezione per cui «Urban heritage, including its tangible and intangible components, constitutes a key resource in enhancing the liveability of urban areas, and fosters economic development and social cohesion in a changing global environment. As the future of humanity hinges on the effective planning and management of resources, conservation has become a strategy to achieve a balance between urban growth and quality of life on a sustainable basis».
A confermare la necessità di una diversa visione e di un diverso approccio nella definizione degli orizzonti progettuali è la stessa condizione della città napoletana.
Come Giano bifronte Napoli vive due realtà: l’una partecipe delle grandi trasformazioni che la sfera sociale sta attraversando in uno con i mutamenti economici; l’altra è riconducibile alle risorse che creano riscatto, alle associazioni di volontariato, alla vivacità creativa che i più giovani sperimentano nel campo artistico, e ciò proprio nei luoghi dove il degrado è storico, ma dove la città non si presta a finzioni, né è omologata alle immagini e agli usi della globalizzazione [7].
A fronte dell’impoverimento dei ceti più disagiati e di una depressione economica preoccupante della classe media la città racconta con le sue sacche di degrado la situazione in atto. Mentre si decanta l’incremento straordinario dei flussi turistici che oggi, come mai in passato, inondano le strade del centro antico, su altri ‘margini’ della città premono le diverse etnie arroccate in quartieri che stanno diventando delle gated communities [8].
Se è vero, come è vero, che del patrimonio materiale quanto intangibile [9] a Napoli vi sono ancora delle forti e autentiche tracce, gli interventi pensati per trasformare gli spazi urbani dovrebbero considerale come dirimenti punti di partenza, accumulatrici e dispensatrici di significati. La saldatura, storicamente disertata, tra il porto ed il mare ha a disposizione una rete di ‘patrimonio’ che consente quell’integrazione tra le ‘parti’ e quell’osmosi mancata tra la dimensione del mare e quella della città [10].
Del resto, il mare si trova anche ‘dentro’ e ‘sotto’: via Sedile di Porto, dietro l’attuale Piazza della Borsa, traccia di un antico margine del mare; o i resti di una nave ritrovati per lo scavo della stazione della Metropolitana nella piazza Nicola Amore costituiscono i fili di una trama che si può riammagliare; o ancora i residui vicereali, e non solo, di Castel Nuovo, ora visibili con il nuovo progetto di Eduardo Souto de Moura e Alvaro Siza per la Piazza Municipio, non sono altro che ulteriori richiami a quel dialogo primordiale (immagine seguente) – e ancora fortemente percepibile – tra la città e il mare.
Francisco de Hollanda, Castello novo D. Napoles (ca. 1540).
Quest’ultimo elemento fisico, attraverso il patrimonio immateriale e la stratificazione dei significati [11] che nel tempo si sono attribuiti, contribuisce fortemente a connotare l’identità che non è solo storica ma è estetico-culturale. In tal modo l’idea di HUL si sostanzia e vede insieme, integrati e sovrapposti paesaggio naturale e edificato, natura e trasformazioni storiche e collettive (immagine seguente). Una chiave di lettura è dunque il mare, elemento identificante il paesaggio culturale napoletano, e cioè la stessa dimensione della baia cui fa da contrappunto l’area collinare, ben presente nello scenario urbano contemporaneo, mediata anche dalle vedute storiche che contribuiscono a formare nella memoria collettiva un’idea di ‘paesaggio’.
Le architetture, le testimonianze e i luoghi storici costituiscono dunque i fondamenti di una strategia progettuale che, per essere efficace, deve reinterpretare autenticamente i valori in funzione di un’auspicabile trasformazione del contesto urbano. Frammenti, tessere di un mosaico dunque, riconducibili ad un’ «unità potenziale» il cui tessuto connettivo è composto da elementi, imprescindibilmente, di natura materiale e intangibile.
Francesco Cassiano de Silva, Veduta del Molo Grande, da Domenico Antonio Parrino, Napoli città nobilissima, antica e fedelissima. (Fonte: Biblioteca Nazionale, Napoli)
Note
[1] Si concorda con coloro che già tempo fa proponevano una lettura della città libera da visioni convenzionali come quella dell’immutabile caos, calando nell’analisi dei fattori urbani ed economici in atto la comprensione della città. Vallat, C., Marin, B. & Biondi, G. (1998), “Naples. Démythifier la ville”, l’Harmattan, Paris.
[2] Cfr. Colletta, T. (2006), “Napoli città portuale mercantile. La città bassa, il porto e il mercato dall’VIII al XVII secolo”, Edizioni Kappa, Roma; Gravagnuolo, B. (1994), “Napoli. Il porto e la città. Storia e progetti”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli; Menna, G. (2002), “Naples and its port from Middle Age to XX Century: Strategies for an integration”, in BDC, vol. 12, n.1, pp. 553-569.
[3] Molti hanno riguardato la zona del porto: tra i tanti si veda il G. Fiocca del 1863 e G. Riegler, dello stesso anno; quest’ultimo, in particolare, prevedeva un vero e proprio waterfront che si sviluppava verso est fino ai Granili per estendersi alla strada per Portici, integrando, nella proposta, anche inserimenti nel tessuto urbano retrostante. Cfr. Mangone, F. (2010), “Centro storico, Marina e Quartieri spagnoli. Progetti e ipotesi di ristrutturazione della Napoli storica. 1860-1937, Grimaldi editori, Napoli; A. Castagnaro (2017), “Il contesto di Castel Nuovo e le trasformazioni dal 1921 ad oggi”, in A. Aveta (a cura di) (2017), “Castel Nuovo in Napoli. Ricerche integrate e conoscenza critica per il progetto di restauro e di valorizzazione”, artstudiopaparo, pp. 163-180.
[4] Pavia, R., (2010), “Waterfront. L’interfaccia del conflitto”, in Savino, M. (a cura di), “Waterfront d’Italia. Piani politiche progetti”, Franco Angeli, Milano. Polemiche ed opposizioni frenano la realizzazione del progetto per una politica protezionistica degli spazi da parte dei concessionari e dell’Autorità portuale. Recentemente si è avuta un’interrogazione parlamentare per il progetto gestito da Nausicaa, la società composta dal Comune, Provincia, Regione e la stessa Autorità portuale (22 dicembre 2018, Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, n. 15). Leonardi, R., (2009) “Il progetto Waterfront: la riqualificazione del porto di Napoli”, in TeMA, n. 2, pp. 47-52.
[5] Cfr. Russo, M., “La città-porto come sistema duale: prospettive multiscalari di integrazione. Il caso Napoli”, in Aveta, A., Marino, B.G. & Amore, R. (a cura di) (2017), “La Baia di Napoli. Strategie integrate per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio culturale”, 2 vol., artstudiopaparo, Napoli.
[6] La UNESCO Recommendation on the Historic Urban Landscape è stata adottata nel corso della 36° General conference, a Parigi, il 10 novembre 2011. In particolare: «The significance of the architectural heritage and justification for conserving it are now more clearly perceived. It is known that historical continuity must be preserved in the environment if we are to maintain or create surroundings which enable individuals to find their identity. Every effort must be made to ensure that contemporary architecture is of a high quality». Cfr. Marino, B.G. (2013) “Historic Urban Landscape and Conservation: Opportunities and Boundaries of a notion for the historic town”, in BDC, vol 12, n 1, pp. 600-607.
[7] Si veda l’interessante testo di P. Frascani, “Napoli. Viaggio nella città reale”, Laterza, Bari-Roma 2017.
[8] Sul tema si cfr. Castellano, A. & Marino, B.G. (2018), “Identità storiche mutanti: architetture e quartieri come luoghi del cambiamento multi-culturale tra memoria e conservazione”, in “La città altra /The Other City. Storia e immagine della diversità urbana: luoghi e paesaggi dei privilegi e dl benessere, dell’isolamento, del disagio, della multiculturalità”, (a cura di) Capano, F., Pascariello, M.I. & Visone, M., Federico II Università FedOA, Cirice Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Iconografia della città Europea, Napoli, pp. 1641-1651.
[9] Cfr. Aveta, A., Marino, B.G. & Amore, R. (a cura di) (2017), “La Baia di Napoli. Strategie integrate per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio culturale”, 2 vol., artstudiopaparo, Napoli.
[10] In relazione ad alcuni studi, cfr. Miano, P. (2009), “Castel nuovo in una nuova rete di relazioni tra il posto e la città”, in Aveta, A. (a cura di) (2017), “Castel Nuovo in Napoli. Ricerche integrate e conoscenza critica per il progetto di restauro e di valorizzazione”, artstudiopaparo, pp., 337-344; Aveta, A. (2009), “Restauro e rinnovamento del centro storico di Napoli”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli.
[11] Ci si riferisce ai “layers of significant” elemento fondativo dell’interpretazione della città e base delle politiche dello sviluppo urbano. See Bandarin, F. & van Oers, R. (2012), “The Historic Urban Landscape. Managing heritage in a urban century”, Wiley-Blackwell, Singapore, pp. 68 e ss.
Riferimenti
Aveta, A. (2009), “Restauro e rinnovamento del centro storico di Napoli”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli.
Aveta, A, Marino B.G. & Amore R. (a cura di) (2017), “La Baia di Napoli. Strategie integrate per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio culturale”, 2 voll., artstudiopaparo, Napoli.
Bandarin, F. & van Oers, R. (2012), “The Historic Urban Landscape. Managing heritage in a urban century”, Wiley-Blackwell, Singapore.
Castagnaro, A. (2017), “Il contesto di Castel Nuovo e le trasformazioni dal 1921 ad oggi”, in A. Aveta (a cura di), “Castel Nuovo in Napoli. Ricerche integrate e conoscenza critica per il progetto di restauro e di valorizzazione”, artstudiopaparo, pp. 163-180.
Castellano, A. & Marino B.G. (2018), “Identità storiche mutanti: architetture e quartieri come luoghi del cambiamento multi-culturale tra memoria e conservazione”, in “La città altra /The Other City. Storia e immagine della diversità urbana: luoghi e paesaggi dei privilegi e dl benessere, dell’isolamento, del disagio, della multiculturalità”, (a cura di) Capano, F., Pascariello M.I. & Visone, M., Federico II Università FedOA, Cirice Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Iconografia della città Europea, Napoli, pp. 1641-1651.
Colletta, T. (2006), “Napoli città portuale mercantile. La città bassa, il porto e il mercato dall’VIII al XVII secolo”, Edizioni Kappa, Roma.
Frascani, P. (2017), “Napoli. Viaggio nella città reale”, Laterza, Bari-Roma.
Gravagnuolo, B. (1994), “Napoli. Il porto e la città. Storia e progetti”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli.
Leonardi, R.(2009), “Il progetto Waterfront: la riqualificazione del porto di Napoli”, in TeMA, n. 2 , pp. 47-52.
Mangone, F. (2010), “Centro storico, Marina e Quartieri spagnoli. Progetti e ipotesi di ristrutturazione della Napoli storica”. 1860-1937, Grimaldi editori, Napoli.
Marino, B.G. (2013), “Historic Urban Landscape and Conservation: Opportunities and Boundaries of a notion for the historic town”, in BDC, vol 12, n 1, pp. 600-607.
Menna, G. (2002), “Naples and its port from Middle Age to XX Century: Strategies for an integration”, in BDC, vol. 12, n.1, 2002, pp. 553-569.
Miano, P. (2009), “Castel nuovo in una nuova rete di relazioni tra il porto e la città”, in A. Aveta (a cura di), “Castel Nuovo in Napoli. Ricerche integrate e conoscenza critica per il progetto di restauro e di valorizzazione”, artstudiopaparo, pp., 337-344.
Pavia, R. (2010), “Waterfront. L’interfaccia del conflitto”, in M. Savino (a cura di), “Waterfront d’Italia. Piani politiche progetti”, Franco Angeli, Milano.
Russo, M., (2017), “La città-porto come sistema duale: prospettive multiscalari di integrazione. Il caso Napoli”, in A. Aveta, B.G. Marino, R. Amore (a cura di) (2017), “La Baia di Napoli. Strategie integrate per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio culturale”, 2 voll., artstudiopaparo, Napoli .
Vallat, C., Marin, B. & Biondi, G. (1998), “Naples. Démythifier la ville”, l’Harmattan, Paris.
Head Image: Napoli, vista del margine dell’area portuale e della città fino alla collina di Castel Sant’Elmo. Castel Nuovo gioca un ruolo di mediazione tra il mare e il tessuto urbano che si estende fino al rilievo collinare. In primo piano una fase del cantiere della nuova stazione della Metropolitana e, sulla sinistra, l’asse di via Marina che interrompe la continuità tra la città ed il mare. (© F. Castiglione)