Il sistema portuale italiano tra crisi e riforme

22 Maggio, 2016

In Italia, relativamente al sistema portuale nazionale, siamo in una fase complessa di riforme tardive e contraddittorie.

Il “Piano strategico nazionale della portualità e della logistica”, elaborato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, è stato approvato nell’Agosto del 2015 dal Consiglio dei Ministri, ma bloccato quasi immediatamente da un ricorso delle Regioni alla Corte Costituzionale. Recentemente, nell’ambito della riforma della pubblica amministrazione, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto “Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle Autorità Portuali”, per cui le autorità da 24 passeranno a 15 [1]. I porti, ma anche le città sono in fermento. Molte città portuali sono anche città metropolitane [2]. La pianificazione dei porti diviene sempre più complessa e sempre più ingabbiata da normative inadeguate. Con il nuovo decreto legislativo si hanno 15 Autorità Portuali di Sistema, ciò significa che avremo piani di coordinamento di più porti: non solo le autorità portuali esistenti, ma anche porti di competenza regionale (se le Regioni lo vorranno). Si va verso una pianificazione di sistema, verso un piano infrastrutturale-territoriale di nuova generazione il cui iter operativo sarà certamente difficile e incerto. Il decreto legislativo introduce una governance di coordinamento; riorganizza gli apparati di gestione dei porti; snellisce e semplifica le procedure di controllo doganale, amministrativo, sanitario; propone una maggiore autonomia finanziaria. Inizia un processo lungo e complesso in cui si giocherà il futuro del sistema portuale nazionale e di un pluralità di città-porto.

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Le 15 Autorità di Sistema Portuale come indicato dal decreto “Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle Autorità Portuali”. (Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti)

Bisogna riconoscere che il nuovo corso arriva tardi, che dall’ultima legge sui porti la Legge 84/94 “Riordino della legislazione in materia portuale”, si è fatto ben poco, che gli interventi e gli investimenti sui porti sono stati inadeguati. Nel contempo il mondo cambiava e i porti del Nord Europa e del Mediterraneo si attrezzavano. Abbiamo accumulato un ritardo che appare incolmabile. Uno sguardo ai dati [3] conferma che i porti italiani hanno subito un progressivo declino (in relazione alla crisi economica finanziaria del 2008-2013, la contrazione dei traffico merci è stata più rilevante nei porti italiani). Il livello competitivo del nostro sistema portuale è tra i più bassi in Europa. Molti operatori industriali nazionali si rivolgono ai porti del Northern Range che offrono tempi di movimentazione e spedizione più rapidi e certi.

Nonostante il Mediterraneo, con il Canale di Suez, risulti la via di transito merci più importante al mondo (una direttrice ancora in crescita), i porti italiani non ne usufruiscono. Gioia Tauro è stata superata da Valencia, Algeciras, Tanger Med. La crisi del transhipment è particolarmente evidente a Taranto, dove Evergreen ha preferito trasferire le sue attività al Pireo. Trai i porti gateway solo Trieste e Genova hanno mantenuto stabile il loro movimento merci (sono gli unici porti in grado di svolgere un ruolo di servizio anche per altri paesi del centro Europa). In Italia oltre il 50% del commercio estero utilizza il trasporto marittimo. I nostri porti sono determinanti per le industrie del Made in Italy, per il rifornimento di materie prime e per le indispensabili forniture di gas e petrolio.

Forse in questa fase dovremmo mettere da parte le ipotesi di fare della penisola italiana una grande piattaforma logistica per l’Europa (da 20 anni è stata questa l’aspirazione di molti piani per la logistica), e pensare di rafforzare il nostro sistema portuale a servizio della economia nazionale, dei nostri distretti industriali, del turismo, della cantieristica, ma anche della riqualificazione urbana e ambientale.

Il solo porto di Rotterdam movimenta un numero di container pari a quello dei porti italiani (circa 10 milioni di contenitori). Il dato la dice lunga sulla realtà portuale italiana, in forte ritardo sul piano competitivo e della produttività, ma anche sulle interconnessioni dei nodi portuali con la rete dei corridoi europei, sulla questione dell’ultimo miglio, sull’intermodalità in particolare ferroviaria, sulle connessioni con gli interporti, sull’organizzazione di aree industriali retro portuali.

In questi anni non ci sono stati investimenti sufficienti né nei porti né nelle infrastrutture territoriali, indispensabili per connetterci con le aree di mercato nazionali ed europee (la vicenda del Terzo Valico limita ancora fortemente il porto di Genova). Alcuni grandi interventi come la piattaforma logistica a Vado Ligure in project financing (circa 450 milioni di euro tra Autorità Portuale di Savona e Maersk) solo ora sono entrati in una fase attuativa. Il tentativo di un pool di banche di investire un miliardo di euro su Monfalcone e poi su Trieste è stato rapidamente vanificato per l’assenza di una strategia di governo centrale e la forte opposizione campanilistica delle autorità portuali dell’Alto Adriatico.

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Il Porto di Savona-Vado Ligure. (Fonte: Autorità Portuale di Savona)

Lo scenario trasportistico globale è in trasformazione: il raddoppio del Canale di Suez e la crescita del traffico merci nel Mediterraneo e nel Mar Nero, i nuovi porti del Nord Africa, il raddoppio del Canale di Panama, il canale artico, agevolato dallo scioglimento dei ghiacci, il progetto della linea ferroviaria Cina-Nord Europa. Lo scenario futuro non sembra favorire i porti italiani. Anche il cambiamento climatico e la questione ambientale energetica sono temi di rilievo. Il rischio dell’innalzamento delle acque ha indotto porti come Boston, Anversa, Rotterdam ad adeguare le loro infrastrutture di protezione. In Italia nonostante ci siano molte aree a rischio, ad eccezione del Mose, non ci sono interventi e programmi significativi.

I porti pongono con urgenza rilevanti questioni ambientali: da quelle energetiche (la produzione di energia rinnovabile attraverso piattaforme eoliche), all’elettrificazione delle banchine, alla fornitura di gasolio per il rifornimento navi, alla trasformazione delle opere marittime in infrastrutture ambientali di difesa dall’innalzamento acque, dall’erosione, al rischio idrogeologico. Abbiamo bisogno di infrastrutture complesse a servizio del porto ma anche della città.

Sono passati oltre venti anni dalla Legge 84/94, ma tra la pianificazione portuale e quella urbanistica territoriale continua ad esserci una profonda separazione.

Con la Legge 84/94 si è passati da una programmazione di opere marittime ad un piano portuale complesso, articolato funzionalmente, attento alle relazioni territoriali e ambientali. La correlazione tra il piano per la città e quello per il porto doveva essere orientato da una “intesa” tra Comune e Autorità Portuale, in modo da ottenere un processo unitario e coerente. Ci si attendeva molto, ma il bilancio dopo venti anni è oggettivamente deludente.

Uno dei segnali più evidenti della separazione tra la pianificazione portuale e quella urbanistica sta nell’assenza in Italia di reali programmi di riqualificazione dei waterfront. Molti concorsi, molte iniziative ma nessuna attuazione concreta. Ad eccezione del recupero del porto vecchio di Genova, ad oggi nessun progetto di waterfront è stato realizzato. Questo vale sia per i porti maggiori, sia per quelli minori dove il demanio portuale è gestito dalle Autorità Marittime (solo recentemente la Regione Toscana con la Legge 23/2012 ha istituito un’Autorità portuale regionale con competenza sui porti di rango regionale).

Quest’assenza di programmi di riqualificazione di waterfront portuali è un’anomalia italiana. In ogni parte del mondo da Londra a Buenos Aires le aree di waterfront sono divenute ambiti strategici per la rigenerazione urbana. Il processo, iniziato negli anni ’70-’80 del secolo scorso, è legato al decentramento delle attività portuali in contesti più adeguati ad accogliere le nuove infrastrutture del trasporto marittimo caratterizzato dalla containerizzazione e dal gigantismo delle navi. In Italia è stato diverso, i processi di delocalizzazione sono stati limitati (Genova, Trieste), e i porti si sono espansi con nuove opere a mare, rimanendo all’interno del sistema urbano, spesso in adiacenza alla città storica. Anche questo ha reso più complessa la riqualificazione dei waterfront portuali [4].

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Terminal container nel Porto di Trieste. (Fonte: Trieste Marine Terminal)

Il processo di riforme in atto, promuovendo la razionalizzazione dei porti, potrebbe liberare aree per la riqualificazione dei waterfront. È giunto il momento di superare la separazione tra il piano urbanistico e il piano portuale, nell’interesse dell’efficienza dei porti e delle città che possono trovare nei waterfront nuove opportunità di sviluppo e nuove centralità urbane.

Note

 

[1] Il Decreto Legislativo, Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle autorità portuali, presentato dal Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, è stato approvato il 21 Gennaio 2016.

 

[2] Legge 7 Aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle provincie, sulle unioni e fusioni di comuni.

 

[3] Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Piano strategico nazionale della portualità e della logistica, Roma 2015; Cassa Depositi e Prestiti, Porti e Logistica, Il sistema portuale italiano nel contesto competitivo euro-mediterraneo e presupposti di rilancio, Roma 2012; SRM (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno), Trasporto marittimo e sviluppo economico, Giannini Editore, Napoli 2012.

 

[4] Rosario Pavia, Matteo Di Venosa, Waterfront. Dal conflitto all’integrazione, Trento 2012.


Head image: Una veduta dall’alto del Porto di Gioia Tauro.

 


Article reference for citation:
Pavia Rosario, “Il sistema portuale italiano tra crisi e riforme” PORTUS: the online magazine of RETE, n.31, June 2016, Year XVI, Venice, RETE Publisher, ISSN 2282-5789, URL: https://portusonline.org/it/il-sistema-portuale-italiano-tra-crisi-e-riforme/

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