The dawning of Livorno came about at the end of the sixteenth century as a result of the quest for access to the sea by Florence made necessary because the harbour in Pisa had silted up. It was born modern, thanks to the insight of Grand Duke Ferdinando I de ‘Medici, who wanted it to be a free port and safe haven for all merchants on the Mediterranean, to whom the famous “Leggi Livornine” (Livornine Laws) were addressed and which represent, to this day, an extraordinarily progressive example of legal society, cosmopolitanism and openness to the world: “To all of you Merchants of any nation, Westerners, Easterners, Spaniards, Portuguese, Greeks, Germans, Italians, Jews, Turks, Moors, Armenians, Persians, we salute each of you”.
Thus, a small fishing village became a City of Nations, where there was freedom of worship and trade, where the Jews who had escaped Spanish persecution found refuge without being forced to live in a ghetto, where they he would print the Encyclopédie of the Enlightenment philosophers and where Shelley would take refuge after the fallout from the publication of his essay, “The Necessity of Atheism”, safe in the knowledge that in Livorno he would be free to breathe.
And thus, Livorno began to see its name translated into the main European languages (a rare occurrence for a city that is not state capital): Leghorn in Britain and America Livourne in France and Liorna in Spain.
In the mid-nineteenth century, even after it had lost so much of its eighteenth-century splendour, records show that Livorno was nevertheless the fifty-fifth most populous city in Europe, ranking above Frankfurt, Trieste, Odessa and Bologna, according to a British survey.
Yet, the Livorno that I know is above all the city that struggled in its rise from the rubble of the Second World War and had, thereafter, sought an industrial vocation that had once guaranteed employment and development but which had then marked time. And yet, despite the city’s declining celebrity around the world and that friends from afar were only really interested in catching the ferry to holiday destinations on the Tuscan archipelago or Sardinia, something essential remained, the legacy of a beautiful and unique story was still palpable and deserved to be told.
Because, unlike other cities in Tuscany, whose superb monumentality are easily recognised symbols for the tourism industry, we in Livorno have to keep talking about ourselves, from the top of the page every time and perhaps twice as loud, but the effort is definitely worth it.
Anyway, if doubling our endeavour is what it takes, it is also true that the benefits will impact every aspect of the life of our community.
Livorno Coast. Costiera di Calafuria, Il Romito. (© Comune di Livorno, 2020).
Unlike other Tuscan cities, whose extraordinary beauty lends itself to the “grasshopper tourism” of trompe l’oeil snap shots of the Leaning Tower of Pisa or selfies in front of the doors to the Baptistery in Florence, the beauty of Livorno that emanates from the Pentagon of Buontalenti, from the glimpses of Venice Quarter, from the blue dominating the large Piazzas and the Promenade, and, to the south, from the view from the top of the Romito is something that protects the genius loci, the spirit of the place. No brochure could do justice to what clearly distinguishes an experience from just another holiday. More and more people around the world are awakening to this possibility and calling for the opportunity to experience the true essence of a place. That something that defies being captured in an image that is soon lost in an immense digital cloud but which is stored as impressions that somehow change and enrich our lives. The nature of a city built at the end of the sixteenth century as a place of meeting and exchange between “nations”, a free port open to the sea and gateway for those from afar, and which continues to resonate to the present day and towards future of our community is not something that can be encapsulated in a simple postcard. Because this is who we were and this is who we can be once again: diversis gentibus una a diverse and cosmopolitan community, used to setting our sights on more distant and appealing horizons than those we have been content with over recent years.
Livorno. Centro storico (Old Town), Quartiere La Venezia. (© Comune di Livorno, 2020).
Head image: Livorno. The Terrazza Mascagni. (© Comune di Livorno, 2020).
Il sogno di uno sbocco al mare della Firenze medicea alla fine del XVI secolo, per una città che nasce moderna e cosmopolita: Livorno
Livorno nasce alla fine del XVI secolo, come sogno dello sbocco al mare di Firenze, dopo che il porto pisano si era interrato. Nasce moderna, grazie a un’intuizione del Granduca Ferdinando I de’ Medici, che la vuole porto franco e sicuro per i mercanti di tutto il Mediterraneo, e ai quali si rivolge in quelle che diventeranno famose come “Leggi Livornine” e che rappresentano, a tutt’oggi, un esempio straordinariamente avanzato di civiltà giuridica, di cosmopolitismo e di apertura al mondo: “A tutti Voi Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, dicendo ad ognuno di essi salute”.
Nasce così, in luogo di un piccolo borgo di pescatori, una Città delle Nazioni, dove vige libertà di culto e di commercio, dove gli Ebrei che già erano sfuggiti alle persecuzioni spagnole, trovano rifugio senza essere costretti a vivere in un ghetto, dove si stamperà l’Encyclopédie degli illuministi, dove verrà a rifugiarsi Shelley, perché, passata la tempesta causata dall’uscita del suo “The necessity of atheism”, a Livorno sa che respirerà aria di tolleranza.
Così, Livorno (forse unica fra le città che non fossero capitali di stato) comincia ad essere tradotta nelle principali lingue europee: Leghorn nel Regno Unito e negli Stati Uniti, Livourne in Francia, Liorna in Spagna.
A metà Ottocento, dopo che ha già perso tanto dello splendore settecentesco, la ritrovo ancora al cinquantacinquesimo posto in una classifica inglese delle città più popolose di Europa: sopra Francoforte, Trieste, Odessa o Bologna.
Eppure, la Livorno che ho conosciuto io, è soprattutto quella rinata con fatica dalla macerie della seconda guerra mondiale, quella che aveva cercato nel dopoguerra una vocazione industriale che era servita a garantire lavoro e sviluppo ma che poi aveva segnato il passo. E tuttavia, ancora in quella città di cui ormai si parlava sempre meno nel mondo, e che i miei amici di foravia identificavano soprattutto come quel posto dove venivano a prendere il traghetto per le vacanze nell’arcipelago toscano, o per andare in Sardegna, restava qualcosa di essenziale, il lascito ancora palpabile di una storia bella e unica che meritava di essere raccontata.
Perché, a differenza di altre città toscane, che trovano nella loro superba monumentalità simboli facilmente serializzabili per l’industria del turismo, a Livorno dobbiamo piuttosto trovare il modo di raccontarci ogni volta da capo, forse con uno sforzo doppio, ma che sicuramente vale la pena di fare.
Del resto, se è doppio lo sforzo che ci viene chiesto, è altrettanto vero che possiamo ricavarne un beneficio che investe ogni aspetto della vita della nostra comunità.
Livorno. Costiera di Calafuria, Il Romito. (© Comune di Livorno, 2020).
A differenza di altre città toscane, la cui straordinaria bellezza si presta al consumo del turismo-cavalletta, che spesso si esaurisce nel trompe l’oeil fotografico in cui si finge di tenere in piedi la torre pendente di Pisa, o al selfie davanti alla porta d’oro del battistero di Firenze, la bellezza di Livorno, diffusa nel pentagono del Buontalenti, negli scorci della Venezia, nel blu che sovrasta le ampie piazze, sul lungomare, e poi a sud, inerpicandosi sul Romito, è ancora qualcosa che mantiene intatto il genius loci, lo spirito del luogo. Ovvero quella cosa che non potresti raccontare in un depliant, ma che pure traccia netto il confine fra una vacanza e un’esperienza. Proprio nel momento in cui sempre più persone, in ogni parte del mondo, per una rinnovata consapevolezza, chiedono esattamente questo: la possibilità di vivere un luogo come un’esperienza. Qualcosa cioè che non si lasci catturare in un’immagine presto dimenticata nell’immenso cloud digitale, che tanto più ricorda di noi quanto più noi ci dimentichiamo di noi stessi, ma che resti nel bagaglio delle cose che in qualche modo ci cambiano e ci arricchiscono. Dunque l’idea di una città che nasce come porto franco, come terreno di incontro e di scambio per le “nazioni” , aperta al mare, che è da sempre la porta per cui si arriva da lontano, è un’idea che non si consuma in una cartolina ma che, dalla fine del Cinquecento, può continuare a riverberare nel presente e nel futuro della nostra comunità. Perché questo eravamo e questo possiamo tornare ad essere: diversis gentibus una, una comunità composita e cosmopolita, abituata a vivere traguardando orizzonti più lontani e suggestivi di quelli di cui ci siamo contentati in questi ultimi anni.
Livorno. Centro storico, Quartiere La Venezia. (© Comune di Livorno, 2020).
Head image: Livorno. La Terrazza Mascagni. (© Comune di Livorno, 2020).